Si fa strada di recente la convinzione che l’alimento crudo sia meglio di quello cotto, perché più ricco di principi nutritivi.
La scoperta della cottura dei cibi è un’abitudine esclusivamente umana e risalirebbe a 250.000 anni fa. E’ una scoperta importante che ha influenzato, con grande probabilità, anche lo svezzamento e la riproduttività, consentendo all’uomo di impiegare il tempo necessario alla maggior durata della masticazione dei cibi crudi, in faccende domestiche e lavorative.
La cottura di un alimento è in grado di far evaporare l’acqua, determinando una maggiore concentrazione dei nutrienti rispetto all’alimento non cotto, nonché la diminuzione del volume. La cottura ammorbidisce il cibo: basti pensare alla patata cotta, che mostra una consistenza diversa rispetto a quella cruda.
Con la cottura viene modificata la struttura fisica di proteine e di amido, rendendole più accessibili all’attacco di enzimi idrolitici deputati a scindere le molecole.
Cuocere i cibi, come dicevamo, è anche importante al fine di salvaguardarne la salubrità: la carica batterica diminuisce e siamo in grado di difenderci dai microorganismi potenzialmente patogeni. La cottura ci protegge inoltre dalle sostanze tossiche presenti nei vegetali: pensiamo alla solanina nella patata, all’avidina dell’uovo, alle sostanze gozzigene presenti nelle brassicacee.
Con la cottura, infine, si determina un aumento della palatabilità di un alimento, a seguito di reazioni chimico-fisiche, tra cui la Reazione di Maillard, che genera composti volatili coinvolti nel causarci la famosa “acquolina in bocca”.
Autore: Dr.ssa Rosa G. Pinizzotto Biologa Nutrizionista
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